Apre a Roma l’esposizione “Klimt. La Secessione e l’Italia”: oltre 200 opere segnano il ritorno dell’artista nel Paese e nell’Urbe
Almeno otto, tra il 1890 e il 1913. Tante sono state le occasioni nelle quali Gustav Klimt ha vistato l’Italia, per partecipare ad alcune mostre, ma anche per veri e propri viaggi di formazione, con amici e colleghi. E proprio nel rapporto tra l’artista e l’Italia è il cuore della mostra “Klimt. La Secessione e l’Italia”, a cura di Franz Smola, curatore del Belvedere Museum, di Sandra Tretter, vicedirettore della Klimt Foundation di Vienna e di Maria Vittoria Marini Clarelli, sovrintendente capitolina ai Beni Culturali, visitabile al Museo di Roma a Palazzo Braschi da domani al 27 marzo. E così ad essere ripercorse sono anche le suggestioni italiane nel suo lavoro, tra ispirazione, prima, e, di fatto, influenze poi, nell’eredità lasciata, anche nel nostro Paese, dal suo “segno”.
Promossa da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, co-prodotta da Arthemisia che ne cura l’organizzazione con Zètema Progetto Cultura, in collaborazione con il Belvedere Museum e in cooperazione con Klimt Foundation, l’esposizione segna il “ritorno” dell’artista in Italia e nell’Urbe, a 110 anni dall’Esposizione Internazionale dʼArte del 1911. A questa farà poi seguito un’ulteriore mostra, dedicata a un Klimt più intimo, dal 5 aprile, a Piacenza. D’altronde, da Piacenza, viene uno dei capolavori più attesi tra i molti esposti, Ritratto di Signora, rubato, nel 1997, dalla Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi e poi misteriosamente ritrovato nel 2019 nella stessa galleria. All’opera è dedicato uno speciale focus alla fine del percorso espositivo.
Un iter decisamente ricco. Sono oltre duecento i lavori: 49 quelli di Klimt, cui si aggiungono opere di Josef Hoffmann, Koloman Moser, Carl Moll, Johann Victor Krämer, Josef Maria Auchentaller, Wilhelm List, Franz von Matsch e molti altri. A comporre l’esposizione, ripartita in quattordici sezioni, sono dipinti, disegni, manifesti d’epoca, sculture prestati dal Museo Belvedere di Vienna e dalla Klimt Foundation, tra i più importanti musei al mondo a custodire l’eredità artistica klimtiana, e da collezioni pubbliche e private.
Molte le opere iconiche di Klimt, come Giuditta I, Signora in bianco, Amiche (Le Sorelle), Amalie Zuckerkandl e prestiti eccezionali, in particolare La sposa, che per la prima volta lascia la Klimt Foundation.
In primo piano, proprio il rapporto con il Paese, ricostruito, cui per la prima volta viene dedicato un articolato approfondimento, grazie anche a lettere, cartoline e scritti dell’artista.
Ecco allora, nel 1890, il primo viaggio in Italia, con il fratello Ernst, a Trieste e Venezia. E poi, nel 1899, il secondo soggiorno, questa volta a Firenze, Verona, Genova e ancora Venezia, alla III Esposizione internazionale d’Arte, che lo vede presente con due opere. Poi, nel 1903, Ravenna, dove rimase affascinato dai mosaici, e il lago di Garda, che fu fonte di ispirazione di alcuni dei suoi lavori, nonché, di nuovo, Venezia, dove l’anno seguente sarà invitato a partecipare alla Biennale del 1905, non solo come artista ma anche come giurato, inviti che rifiuterà a causa di altri impegni. E così via fino ad arrivare a Roma,dove 110 anni fa, dopo aver partecipato con una sala personale alla Biennale di Venezia del 1910, fu premiato all’Esposizione Internazionale dʼArte. E così via. I vari viaggi influirono sul suo lavoro, la sua ispirazione, le sue visioni. E poi, la sua ricerca artistica influenzò vari artisti italiani, come Galileo Chini, Giovanni Prini, Enrico Lionne, Camillo Innocenti, Arturo Noci, Ercole Drei, Vittorio Zecchin e Felice Casorati.
L’esposizione guarda alle prime opere dell’artista, indaga il suo ruolo di cofondatore della Secessione viennese, segue l’impatto della nuova filosofia artistica, anche sul design e sulla grafica. Poi, si entra nel vivo dei viaggi dell’artista in Italia, dove sperimenta anche l’amore. A Genova, bacia per la prima volta Alma Schindler, a Verona per la seconda volta. È a Venezia quando scrive una lettera di scuse per le sue avances: gli occorrono ben tredici pagine per chiarire l’accaduto e le intenzioni. E le parole più appassionate sui mosaici di Ravenna, le scrive quattro anni dopo, a Emilie Floge, sua compagna di vita. Klimt ama la bellezza femminile, si fa sedurre dalla sensualità di forme e sguardi, immortala anche il languore nei suoi lavori e il fascino, di cui è prima vittima, poi, tra segno e colore, anche artefice. Non è un caso che si dedichi quasi esclusivamente a ritratti femminili, mentre i ritratti di uomini sono estremamente rari e risalgono ai primissimi anni. Così, ad esempio, Giuditta, rappresentata come una femme fatale, capace di “stregare” chi la guarda: crudele e sensuale.
Si fa “monumento” nel percorso espositivo Il Fregio di Beethoven, fregio murale lungo più di 34 metri, che si estendeva per un’altezza di circa due metri: è questo il lavoro con cui l’artista omaggia il Maestro quando, da aprile a giugno 1902, la Secessione viennese presenta come parte della sua XIV Mostra un omaggio a Ludwig van Beethoven.
Nell’iter, anche la pittura paesaggistica, L’Esposizione Internazionale di Belle Arti del 1911 a Roma, la Secessione del 1914. E poi, appunto, il focus, sul capolavoro ritrovato Ritratto di signora, databile tra il 1916 e il 1917. È stata una studentessa di un liceo piacentino, Claudia Maga, ad avere intuito nel 1996 che Klimt aveva dipinto sopra un precedente ritratto già ritenuto perduto raffigurante una giovane donna, identica nel volto e nella posa, ma diversamente abbigliata e acconciata. Ora, l’attenzione è tutta per il mistero del furto e per l’altrettanto misterioso rinvenimento, il 10 dicembre 2019, nel corso di alcuni lavori di giardinaggio lungo il muro esterno del museo piacentino. Un giallo, cui proprio nelle prossime ore si potrebbero aggiungere nuove pagine.
A impreziosire la mostra, anche la ricostruzione dei Quadri delle Facoltà – La Medicina, La Giurisprudenza e La Filosofia – allegorie realizzate da Klimt tra il 1899 e il 1907 per il soffitto dell’Aula Magna dell’Università di Vienna e rifiutate in quanto ritenute scandalose. Andate perdute nel 1945, a causa di un incendio al castello di Immendorf in Austria, sono state ora riportate alla “vita”, digitalmente, anche nei loro colori originali, grazie alla collaborazione tra Google Arts & Culture Lab e il Belvedere di Vienna. Mettendo insieme le testimonianze in bianco e nero e i riferimenti cromatici, sono state ricostruite le colorazioni dei dipinti.
Un viaggio alla scoperta e riscoperta di Klimt, tra suggestioni, visioni, viaggi, memorie personali. E il Klimt “pubblico”, in attesa di indagare quello più “privato”, nell’esposizione a Piacenza.