Lazio, economia da rifondare: crollano le imprese tradizionali e contratti regolari giù del 64%
In 115 mila hanno già perso il lavoro e i nuovi precari potrebbero aumentare se a marzo il governo non rinnova lo stop ai licenziamenti: a rischio almeno 70mila dipendenti di agenzie di viaggio, tour operator e alberghi. Ma c’è chi è pronto a ripartire. Dossier di Banca Intesa,Uil e istituto di ricerca Eures
Tengono botta e sono pronte a ripartire le aziende specializzate, ma si fa dura per le imprese tradizionali, familiari e artigiane. Nessuna inversione a U, non si tornerà all’economia pre-pandemia: resisterà chi punta a servizi personalizzati a domicilio, export e lavoro qualificato. Il problema è che le aziende tradizionali a Roma sono l’80% e a fine pandemia ci saranno da una parte i salvati, dall’altra i sommersi. Ai primi appartengono le aziende dei poli tecnologici laziali: farmaceutico tra Roma e Latina, ceramica a Civita Castellana, Ict e aerospazio a Roma, agroalimentare nell’agro pontino. Stanno tutti recuperando dopo il trauma del primo lockdown e sono pronti a ripartire: secondo l’ultimo report di Banca Intesa, fra luglio e ottobre l’export del farmaceutico è calato solo del 4% rispetto al -23% registrato nel primo lockdown , il manifatturiero ha chiuso in parità recuperando il -27% di giugno, l’Ict ha chiuso con -6% e l’export delle aziende di Civita Castellana e dell’agroalimentare nell’area pontina è cresciuto rispettivamente del 5% e del 7%. In totale nel 2020 l’export nel Lazio è calato di appena il 6% con un fatturato di 17,6 miliardi, solo 11% in meno rispetto al 2019. Sono numeri che fanno ben sperare: in primavera si capirà se ci sarà il giro di boa.
“I prossimi mesi saranno decisivi per investire – spiega Pierluigi Monceri responsabile Direzione Italia centrale di Banca Intesa – promuovendo i network tra imprese innovative, centri di ricerca e università. Farmaceutica, Ict e agro-alimentare sono stati impegnati e altri, come le costruzioni, hanno buone prospettive di crescita”. Rimane la questione dell’accesso al credito: nel 2020 Banca Intesa ha erogato quasi 3,5 miliardi di prestiti nel Lazio e attivato 40mila moratorie di mutui per 5 miliardi. Sono numeri alti, che dimostrano la drammaticità del momento. Ma il problema rimane per le imprese tradizionali che, spesso indebitate proprio per il Covid, non hanno accesso al credito legale: serve un piano di ripartenza e sostegno per l’innovazione tecnologica altrimenti la cassa integrazione sarà l’anticamera del licenziamento.
A lanciare l’allarme è il sindacato Uil e l’istituto di ricerca Eures, con un dossier da cui emerge che nel Lazio i nuovi contratti sono crollati di oltre il 64%: aumentano espedienti, lavoro nero e sommerso. Secondo il dossier gli occupati nel Lazio sono 2,3 milioni e durante la pandemia più di 115mila persone hanno già perso il lavoro a causa di fallimenti aziendali o mancato rinnovo del contratto. E i nuovi precari potrebbero aumentare se a marzo il governo non rinnova lo stop ai licenziamenti: a rischio ci sono almeno 70mila dipendenti di agenzie di viaggio, tour operator e alberghi. “Una situazione disastrosa che penalizza stagionali, chi non ha contratti regolari e le donne”, spiega il segretario generale Uil Lazio, Alberto Civica, che chiede “investimenti immediati e il rinnovo della cassa integrazione che nel Lazio ha salvato finora 120 mila lavoratori”.
L’intervista
L’appello della Filca-Cisl: “Subito un piano per le grandi opere, non c’è più tempo da perdere”
Come nel ’29 per uscire dalla grande depressione: per uscire dalla crisi economica dovuta alla pandemia serve un New Deal, un piano di investimenti e opere pubbliche per riaccendere l’occupazione e il motore dell’economia. A chiederlo è il sindacato Filca della Cisl, che rappresenta l’edilizia. E che indica almeno cinque grandi opere incompiute nel Lazio su cui puntare subito per il nuovo New Deal: la Orte-Civitavecchia, «opera iniziata nel 1973 e mai completata ancora oggi ferma alle porte di Montemarano – scrive il sindacato in una nota – il collegamento autostradale fra Roma e Latina, concepita nel 2001 ma subito entrata in un vortice dei ricorsi, la messa in sicurezza dell’arteria Monte Lepini, la Metro C di Roma, la ricostruzione del post terremoto».
L’elenco delle grandi opere pubbliche incompiute sarebbe più lungo: il raddoppio del ponte della Scafa tra Ostia e Fiumicino, la chiusura dell’anello ferroviario di Roma, il potenziamento della Salaria tra Passo Corese e Rieti. Si tratta di opere ferme da decenni a causa di ritardi della burocrazia e della politica, di qualsiasi colore e schieramento. Negli ultimi mesi il governo ha nominato un team di commissari straordinari per portarle a termine, ma i lavori devono ancora partire. La crisi di governo non aiuta ma il Covid, spiega il sindacato, potrebbe essere il pretesto per aprire i cantieri. I soldi, del resto, ci sono. «Pensiamo ai finanziamenti stanziati per il dissesto idrogeologico – spiega Fabio Turco segretario generale Filca Cisl Lazio – il Lazio è riuscito ad appaltare solo il 40% delle risorse transitate negli ultimi dieci anni». Intanto l’edilizia soffre per la pandemia: «Abbiamo perso oltre 50mila posti di lavoro dall’inizio della crisi – conclude Fabio Turco – rispetto al 2019 quasi 500 imprese hanno chiuso». (Salvatore Giuffrida)