Anche per le imprese di moda si azzerano i fatturati.
a moda paga a caro prezzo gli effetti del coronavirus. Di fatto le norme imposte dal governo per il contenimento del contagio hanno momentaneamente paralizzato l’industria della moda, bloccando milioni di euro dietro le serrande dei negozi chiusi. Anche le aziende hanno dovuto sospendere completamente la loro attività o riconvertire la produzione per fare camici e mascherine da donare agli ospedali, come incentivato del commissario straordinario Domenico Arcuri. Lo hanno fatto Armani, Gucci e Prada ma anche Ermanno Scervino che ha organizzato lo ‘smartworking’ delle sue sarte. Il sistema della moda italiana aveva, nel 2019, ricavi per oltre 90 miliardi di euro, una fetta considerevole del Pil, in rialzo dello 0,8% e sulla spinta dall’export (+6,2%, a 71,5 miliardi). La Camera della Moda proiettava perdite pari all’1,8% del prodotto interno lodo italiano all’inizio di febbraio 2020, quando la crisi italiana era ancora in fase di incubazione, e ora un mese dopo, le imprese si ritrovano con il fatturato del mese di marzo “praticamente azzerato” e le stime di Federazione Moda Italia che fanno prevedere per il 2020 un calo di almeno il 50% degli incassi. E guardando sul lungo periodo, non si vede la luce: Camera Moda ha annunciato che le sfilate e le presentazioni di Milano Moda Uomo, previste dal 19 al 23 giugno 2020, si svolgeranno in occasione dell’edizione della settimana della Moda Donna di settembre.
Per questo, i grandi marchi del lusso chiedono al governo di inserire il settore all’interno delle filiere in crisi, oltre alla sospensione del pagamento dei canoni di affitto per gli spazi di vendita. A perorare la causa è Confindustria Moda, l’associazione che rappresenta circa 66mila imprese, che generano un fatturato annuo di 95,5 miliardi di euro e che danno lavoro a oltre 580 mila lavoratori. Il presidente, Claudio Marenzi, ha deciso di inviare una lettera ai locatori di spazi dedicati a negozi di aziende del tessile, moda e accessori, per invitarli a sospendere la richiesta di pagamento del canone, alla luce della “drammatica situazione che stiamo vivendo” e della crisi che “sta colpendo e colpirà nei prossimi mesi tutti gli ingranaggi della filiera“. Anche Enrico Vanzo, amministratore delegato di Manila Grace, accusa il governo di sottovalutare la situazione del comparto: “Non sono consapevoli del problema della filiera della moda che si viene a bloccare. Se non ci sarà un intervento forte nelle prossime settimane il rischio è che molte piccole e medie imprese del settore spariranno”. Per il suo brand – che nel 2019 ha dichiarato 43 milioni di euro – stima perdite tra il 35 e il 40%. Ma lo stop generale nel mondo della moda non coinvolge solo aziende e negozi, i due poli della filiera, ma anche tutto ciò che è in mezzo: la pubblicità e l’editoria. E mentre ci si inizia a interrogare sugli scenari del post-emergenza – il Mit di Boston ha ipotizzato che non si tornerà più alla normalità e il presidente di Camera Buyer ha lanciato la proposta di saltare una collezione – da Giorgio Armani e Toni Scervino arriva un monito a placare le polemiche e concentrare tutti gli sforzi nella produzione di camici, mascherine e altri dispositivi necessari. “È inevitabile, dovremo trovare soluzioni diverse per raggiungere il consumatore. È il tempo di verifiche e di identificazione di ciò che è veramente necessario e non di dare voce alla necessità di parlare di moda in termini enfatici”, spiega Armani. E Scervino gli fa eco: “Le perdite saranno sicuramente pesanti per noi come per tutti ma questo non è il momento di pensarci. Ora la priorità è la salute pubblica e fare camici e mascherine per i medici in trincea”.